Tra le numerose e importanti novità della direttiva 790/2019 dell’UE “sul diritto d’autore e i diritti connessi nel mercato unico digitale”, quella relativa al “diritto al link”, contenuta nell’articolo 15, merita una particolare attenzione.
Tale articolo inquadra dal punto di vista normativo il problema relativo ai link ipertestuali soprattutto per quanto riguarda l’ambito giornalistico. In precedenza infatti essi potevano comparire, negli aggregatori automatici di notizie online quali Google ma anche, in senso lato, nei social media, accompagnati dall’anteprima del testo o da immagini appartenenti al sito sorgente senza darne alcun credito e/o remunerazione.
Le parti chiamate in causa sono state due:
– i gestori dei servizi di aggregazione di notizie, che ritenevano che dovesse essere garantita la libera condivisione di link che rimandano a siti terzi, in quanto: in primis non riportano l’intero testo, ma solo una parte di esso, e in secundis offrono un servizio che agevola sia i lettori a trovare le notizie più facilmente, sia gli editori delle testate ad ottenere un’ampia visibilità;
– Gli editori delle testate online che sostenevano che la condivisione di un proprio link con un estratto testuale o un’immagine dovesse essere soggetta alla normativa del copyright, quindi potesse avvenire solo a fronte del pagamento di un adeguata remunerazione, specialmente nel caso in cui i proprietari dell’aggregatore di notizie ne traessero un profitto.
A fronte di queste problematiche e di norme specifiche a riguardo, il legislatore europeo è intervenuto accogliendo, in parte, la richiesta degli editori delle testate online di introdurre un “copyright sul link” nell’ambito giornalistico.
È stato introdotto quindi l’articolo 15, in tema di “diritti sulle pubblicazioni” (capo 1 – titolo IV), che disciplina la “Protezione delle pubblicazioni di carattere giornalistico in caso di utilizzo online”.
Il primo paragrafo di tale articolo recita:
“Gli Stati membri riconoscono agli editori di giornali stabiliti in uno Stato membro i diritti di cui all’articolo 2 e all’articolo 3, paragrafo 2, della direttiva 2001/29/CE per l’utilizzo online delle loro pubblicazioni di carattere giornalistico da parte di prestatori di servizi della società dell’informazione”.
Giova specificare che con l’espressione “prestatori di servizi” la direttiva intende, considerato il contesto in cui è stata formulata, i soggetti che offrono il servizio di aggregazione di notizie online.
Veniamo dunque agli articoli 2 e 3 della direttiva 2001/29/CE che stabiliscono rispettivamente il diritto di riproduzione e quello della messa a disposizione del pubblico.
Il primo prevede per gli autori il “diritto esclusivo di autorizzare o vietare la riproduzione diretta o indiretta, temporanea o permanente, in qualunque modo o forma, in tutto o in parte” delle proprie opere. Il secondo, invece, individua in capo ai medesimi soggetti “il diritto esclusivo di autorizzare o vietare la messa a disposizione del pubblico”.
L’articolo 15 prosegue poi, al paragrafo 2 e ss., ponendo tre limiti all’applicazione di tale norme, che riflettono le lunghe gestazioni durate quasi 4 anni, che hanno indotto il legislatore a volersi cautelare dal rischio che la direttiva avesse una portata eccessivamente ampia: viene esclusa l’applicabilità dei diritti di cui al primo paragrafo alle utilizzazioni private o non commerciali delle pubblicazioni (come il richiamo di notizie nei blog personali o nei siti open source come Wikipedia), ai soli collegamenti ipertestuali (ovvero il semplice link delle notizie) e ai link accompagnati da singole parole o da brevi estratti di pubblicazioni giornalistiche.
Su quest’ultimo punto la direttiva appare indeterminata, in riferimento ai limiti di tale brevità. La questione in questo caso è rimandata alle singole norme attuative degli Stati membri, con il rischio di una difformità sulla regolamentazione. Il fatto, comunque, che la norma preveda “estratti molto brevi” lascia trasparire chiaramente che non può essere presente un’anteprima articolata, e che quest’ultima non può essere accompagnata da immagini tratte dai siti sorgente, come solitamente avviene nei portali di aggregazione di notizie online.
Si può quindi affermare che la disposizione non prevede un divieto assoluto di utilizzo di link con anteprima, quanto piuttosto l’obbligo, previsto al paragrafo 5, di stipulare accordi e di corrispondere un adeguato compenso agli editori e gli altri produttori di contenuti per remunerare tali contenuti in vista di una loro indicizzazione sulle piattaforme. L’applicazione di siffatta disposizione sarà possibile con l’introduzione di una “link tax”, un importo che le piattaforme di ricerca o di aggregazione delle notizie dovranno pagare alle testate giornalistiche per i contenuti di carattere informativo riprodotti online. Ciò è stato reso necessario in quanto, a differenza della stampa tradizionale, il digitale ha reso difficile per gli editori recuperare dai titolari originali gli investimenti effettuati per l’acquisto dei diritti di utilizzazione delle pubblicazioni su internet. Questa parte della disposizione è volta, pertanto, ad evitare che siti web si avvalgano di articoli giornalistici senza remunerare gli autori.
A fronte di questa analisi, si pongono diversi aspetti problematici dell’articolo 15:
– La mancata indicazione delle conseguenze derivati dalla violazione di tali norme.
– La succitata mancata definizione della misura della brevità degli estratti di pubblicazioni di carattere giornalistico.
– L’entrata in vigore della “link tax” potrebbe portare a problemi applicativi. È necessario, a riguardo, osservare che una norma molto simile è già in vigore nell’ordinamento giuridico spagnolo: si tratta della legge n.21 del 4 novembre 2014. A seguito della sua applicazione, alcune piattaforme si erano mostrate indisponibili a fissare l’importo da versare agli aventi diritto. In conseguenza di ciò, diversi aggregatori di notizie (primo fra tutti Google News) avevano interrotto i propri servizi in questi Stati, generando una incidenza negativa sul pluralismo informativo.
– Aspetto collegato al precedente è il fatto che non viene stabilito cosa debba essere inserito obbligatoriamente negli accordi previsti dal paragrafo 5. Ciò comporta che potrebbero sussistere casi di accordi selettivi basati solo ed esclusivamente sui contenuti più “cliccati” di un editore o potrebbero venire stipulati accordi di indicizzazione solo con gli editori maggiori. Di conseguenza, questo principio potrebbe rischiare di penalizzare i piccoli organi di informazione meno conosciuti. Al momento questi ultimi sono indicizzati spontaneamente dai motori di ricerca, essendo tale utilizzo del link gratuito, ma se dovesse divenire a pagamento, essi potrebbero iniziare a indicizzare solo le grandi firme, i grandi gruppi o le grandi testate.
– Ultima questione in dubbio è l’utilizzo di tali somme di denaro da parte degli editori. Sarebbe auspicabile che le remunerazioni aggiuntive venissero usate a vantaggio dei giornalisti. Gli editori dovrebbero destinare gli introiti al miglioramento della qualità dei contenuti e non per attività extra-editoriali. Da questo punto di vista è necessario che gli editori assumano impegni vincolanti.
Gli Stati membri dovranno intervenire con le proprie normative nazionali di recepimento per sanare queste minacce e fornire utili precisazioni nella fase applicativa di questi articoli. La scadenza ultima per il recepimento è fissata per l’aprile 2021.
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