La riforma Cartabia è entrata in vigore il 14 dicembre 2021. Al suo interno, è stata recepita la Direttiva Europea 2016/343, che indica la necessità di non esprimere giudizi e affermazioni di colpevolezza nei confronti degli indagati e degli imputati non condannati in via definitiva, per non recare danno alla loro immagine e onorabilità.
A tal fine è stato stabilito che la diffusione di notizie sugli atti di indagine compete solo al Procuratore della Repubblica (che può eventualmente “autorizzare gli ufficiali di polizia giudiziaria”) e che possa avvenire “esclusivamente tramite comunicati ufficiali o, nei casi di particolare rilevanza pubblica dei fatti, tramite conferenze stampa“, a cui si può procedere solo “con atto motivato in ordine alle specifiche ragioni di pubblico interesse” che possano giustificarle. Inoltre, si vieta alle autorità pubbliche “di indicare pubblicamente come colpevole la persona sottoposta a indagini o l’imputato fino a quando la colpevolezza non è stata accertata con sentenza o decreto penale di condanna irrevocabili”.
In altre parole, con la riforma Cartabia, le decisioni su quali notizie debbano o meno essere rese note alla stampa sono state affidate alla discrezione dei capi delle procure della Repubblica, alcune delle quali si attengono in maniera scrupolosa alle norme, altre semplicemente le aggirano o addirittura le ignorano.
Prima di questa riforma molte notizie coperte da segreto d’indagine arrivavano ai mezzi d’informazione con molta più facilità, causando conseguenze sensibili sulle vite degli indagati, alcune volte anche sullo svolgimento delle indagini. Oggi però per molti giornalisti e cronisti giudiziari le ingessature partorite da questa legge si traducono in un vero e proprio bavaglio per l’informazione.
Infatti, a fine marzo, il sindacato lombardo dei giornalisti (Agl) e il Gruppo Cronisti hanno organizzato davanti al Tribunale di Milano un presidio contro la legge Cartabia. Secondo gli organizzatori si tratta di una norma anticostituzionale che impedisce a magistrati e forze dell’ordine di dare le informazioni anche minime sui fatti di cronaca ledendo il diritto all’informazione dei cittadini che ne sono inconsapevoli. E tutto ciò accade senza che la politica intervenga o interloquisca con gli enti di rappresentanza dei giornalisti.
“Vogliamo portare all’evidenza dei cittadini i rischi della norma rispetto al diritto di cronaca e del cittadino stesso di essere informato. La legge sta stringendo in maniera ossessiva la diffusione di notizie rispetto a fatti di interesse pubblico, mettendo in forte difficoltà i giornalisti nel fare il loro mestiere” – ha detto Paolo Perucchini, Presidente dell’Alg.
Con l’entrata in vigore della legge Cartabia sempre più spesso molti avvenimenti vengono divulgati quando ormai sono terminati o risolti, creando una evidente distorsione della realtà sociale, dove tutto sembra che vada bene. Una narrazione falsata verso la quale si stanno allineando molti editori, capistruttura e giornalisti. Il risultato è dunque, su più livelli, la mancata diffusione ai cittadini di notizie di pubblico interesse.