Sara Rubinelli è Professore di Scienze della Comunicazione nel Dipartimento di Scienze della Salute e Medicina dell’Università di Lucerna. E’ anche past-President dell’Associazione Internazionale di Comunicazione sanitaria, EACH (www. each.eu).
Ha di recente dato alle stampe, con Nicola Diviani e Maddalena Fiordelli, il volume “Pensiero critico e disinformazione. Un problema contemporaneo” (Carocci editore). L’abbiamo intervistata per approfondire i temi di questa sua pubblicazione.
1) Il filo sottile che lega le diverse parti del volume sembra il seguente: nella storia si trovano tutte le risposte alle urgenze del presente. In particolare la filosofia classica potrebbe ispirare con successo alcune scelte del presente. E’ questo il leitmotiv del volume? Ce ne spiega la genesi?
Esattamente. Questo libro è costruito sulla base della tradizione umanistico-filosofica del pensiero critico a partire dalle opere di Socrate, Platone e Aristotele. Essi sono stati i primi a capire e formalizzare la natura del buon pensare come strumento fondamentale per distinguere tra il vero, il falso, l’opinione e la conoscenza scientifica. Così, in questo libro parliamo del valore del pensiero critico per la democrazia, delle virtù del buon pensatore come presupposti fondamentali per poter riflettere accuratamente sulle cose (si pensi, per esempio, alla virtù dell’onestà intellettuale), spieghiamo cos’è la manipolazione e quali strategie siano utilizzate oggi per convincere il pubblico a seguire proclami che sembrano persuasivi, ma in realtà non sono supportati da alcuna evidenza.
2) In epoca Covid è diventato particolarmente cruciale il tema della veridicità delle informazioni e della circolazione delle fake news. Come distinguere le verità oggettive dalle opinioni e come valorizzare nel modo giusto e opportuno le prime, senza cadere nel dogmatismo?
La teoria è semplice: in linea con il pensiero di Tommaso d’Aquino, le verità oggettive sono le affermazioni che fanno riferimento alla realtà dei fatti. Se ho davanti una montagna e affermo ‘è una montagna’ dico il vero. Se affermo della stessa montagna ‘è un barattolo di marmellata’, a meno che io non stia parlando in modo figurato, dico il falso. A volte si dice il falso per mancanza di conoscenza e senza vera consapevolezza (si crede di sapere…), a volte il falso si dice per manipolare. Di contro a queste verità oggettive che solitamente sono fondate sull’osservazione e sulle evidenze scientifiche, vi sono le opinioni, i punti di vista che hanno valore per l’individuo che li esprime ma che non possono essere generalizzati. ‘La piazza margherita è la più buona’: è un punto di vista. Non posso addurre evidenze scientifiche a supporto di questo, dipende dai miei gusti e non è generalizzabile. Ma se dico ‘lo spread è un ufficio a Roma’, chiaramente ho un punto di vista sbagliato perché lo spread è un tema dell’economia che ha una definizione ben precisa. In questo caso non vige il principio del: ogni punto di vista è giusto! Altrimenti ci ritroviamo in una democrazia distorta. Il fatto di poter tutti dire qualcosa non toglie la responsabilità del dover distinguere alacremente tra opportuno e non opportuno, vero e falso. Il pensiero critico è lo strumento che ci falicita in questa distinzione ponendo la nostra attenzione sui ciò che fonda i proclami che leggiamo o ascoltiamo.
3) Che ruolo stanno giocando e potranno giocare gli influencer sul terreno della trasparenza e della credibilità delle informazioni?
Difficile da definire. Gli influencer hanno sicuramente la competenza del saper comunicare e, in questo senso, hanno un enorme potenziale di dialogare con le persone. Ma gli influencer ‘hanno una vita loro’ nel senso che definiscono la natura della loro comunità, molto spesso la loro attività coincide con la loro professione e, dunque, serve un lavoro di squadra con loro che le istituzioni dovrebbero, a mio avviso, rafforzare e programmare con attenzione. Vi sono poi influencer, e mi spiace sottolineare questo, che fanno della disinformazione il loro cavallo di battaglia, portando al pubblico in modo persuasivo teorie del complotto e altre distorsioni che però, a quanto pare, li fanno addirittura diventare famosi… Serve, dunque, un lavoro di squadra ‘istituzioni-influencer’ ma serve anche, a mio avviso, più rigore nel mostrare quando si convince un audience di cose false. Servirebbe un po’ meno ‘politically correct’ nel senso che le istituzioni, di fronte a proclami falsi e deleteri per un pubblico, dovrebbero prendersi più responsabilità nel dimostrare perché on bisogna credere a certe cose, oppure come dietro certi proclami non vi sia alcuna evidenza.
4) Come l’informazione giornalistica prodotta professionalmente può contribuire a ridurre i rischi di manipolazioni? In Rete la stragrande maggioranza dei contenuti sono prodotti da non giornalisti, quindi da soggetti che non si pongono il problema deontologico e non sono sollecitati dall’esigenza inderogabile di preservare la qualità dei dati. Quali rimedi per rendere la Rete un luogo sicuro e non un ricettacolo di fake news e informazioni fuorvianti?
Rafforzando la comunicazione istituzionale e quella dei mass-media tradizionali. Oggi ci sono troppi talk-show che mettono sullo stesso livello persone e personaggi di competenze diverse e, a volte, di nessuna competenza specifica sul tema in discussione. È fondamentale recuperare la nozione di ‘esperto’ che non è un seguire il mainstream manipolatorio (come affermano certi complottisti!). Se voglio costruire una casa da sola devo conoscere certi contenuti tecnici. Se non li conosco, devo affidarmi agli esperti altrimenti la casa non sta in piedi. Lo stesso vale per il rigore richiesto in questo contesto: non ha senso riempire giornali e televisioni di esperti e pseudo-esperti insieme che litigano e si contraddicono a vicenda. Serve spiegare alla gente come funziona la scienza, serve spiegare quali evidenze ci sono e quali cose ancora non si sanno, ed è importante non mirare alla spettacolarizzazione dell’informazione: oggi c’è bisogno di chiarezza e non show, perché la pandemia e ciò che ne segue sono sfide enormi e da risolvere al più presto. Il pensiero critico e la buona comunicazione sono parti fondamentali della cura. Ecco perché il nostro libro!