Nei vari Stati le criptovalute sono qualificate, spesso in via provvisoria, in modo diverso con un conseguente trattamento non univoco. Un primo problema riguarda la natura giuridica delle valute virtuali. Questa non è riconducibile alla nozione giuridica di “bene” ex articolo 810 del Codice civile, non essendo la valuta un elemento suscettibile di percezione con i sensi. Le criptovalute non possono essere neanche considerate veri e propri strumenti finanziari perché manca un soggetto emittente. Non è infine possibile considerarle valute poiché si tratta di un fenomeno a-territoriale che non coincide quindi con la definizione di valuta come “unità di scambio in uno Stato”.
Il legislatore italiano ha inserito una propria regolamentazione del fenomeno delle criptovalute nel Dlgs 90/2017, con specifico riferimento all’ambito relativo all’antiriciclaggio; il decreto si lega alla Direttiva 843 UE del 30 maggio 2018. In Italia per valuta virtuale si intende “la rappresentazione digitale di valore, non emessa né garantita da una banca centrale o da un’autorità pubblica, non necessariamente collegata a una valuta avente corso legale, utilizzata come mezzo di scambio per l’acquisto di beni e servizi o per finalità di investimento e trasferita, archiviata e negoziata elettronicamente”.
A questa definizione più di recente l’articolo 1, del Dlgs 184/2021, ha aggiunto il concetto di criptovaluta come elemento che “non possiede lo status giuridico di valuta o denaro, ma è accettata da persone fisiche o giuridiche come mezzo di scambio, e che può essere trasferita, memorizzata e scambiata elettronicamente”.
Rifacendosi alla Direttiva dell’UE, l’art. 1 del d.lgs. 231/2007, modificata dal D.Lgs. 4 ottobre 2019 n. 125, la Corte Suprema individua due aspetti essenziali delle criptovalute: non solo l’essere mezzo di pagamento ma mezzo di investimento. In particolare, in Italia, la compravendita di criptovalute è da considerarsi come forma di investimento qualora si possa ottenere un rendimento in seguito alle variazioni del valore delle stesse. In questo caso la moneta virtuale va considerata come un qualsiasi altro prodotto finanziario e sottoposta al regime giuridico del TUF, Testo Unico in materia di intermediazione Finanziaria.
In merito ai soggetti delle transazioni, la Suprema Corte parla delle figure di exchanger e del wallet provider. Il primo gestisce le piattaforme tecnologiche per lo scambio di monete virtuali, l’altro gestisce i portafogli virtuali. Tali soggetti, in quanto prestatori di servizi, vanno sottoposti allo stesso regime giuridico degli agenti e mediatori finanziari previsti dalla direttiva UE antiriciclaggio.
Per configurarsi una condotta illecita in tema di criptovalute, In Italia, è da accertare se l’acquisto, anche a titolo di investimento, abbia lo scopo principale di occultare o riciclare una somma di denaro, o di consentire attività commerciali illecite. Da questo punto di vista le tecnologie blockchain permettono sempre di ricondurre una determinata somma di moneta virtuale al suo attuale possessore e a quelli precedenti.
(C.D.G.)