La cyberviolenza di genere è un fenomeno relativamente nuovo e in costante evoluzione. Lo scenario contemporaneo è fortemente connotato dall’uso delle tecnologie che sono entrate nella vita quotidiana in modo molto diffuso, incidendo anche sui fenomeni di violenza contro le donne.
Se da un lato la rete sembra in grado di offrire inediti spazi di libertà, dall’altro la violenza in rete ha caratteristiche nuove e inedite, rispetto a cui il diritto appare cristallizzato, incapace di fornire risposte. In particolare, i social network formano un nuovo habitat capace di abilitare forme inedite di violenza.
In Italia, le donne in politica sono più soggette a campagne di disinformazione e odio. In questo modo, secondo i risultati della ricerca Monetizing Misogyny dell’organizzazione She Persisted, violenza e fake news vengono usate sia per screditare le donne, sia per attaccare le scelte politiche che rappresentano.
La misoginia online non porta solo a un arretramento nei diritti delle donne e dei valori democratici, ma diventa anche una minaccia per la sicurezza nazionale.
Questa strategia è conosciuta con il nome di disinformazione di genere, cioè la diffusione di informazioni o immagini ingannevoli o imprecise, utilizzate contro le donne nella vita pubblica, per delegittimare la loro figura e le loro istanze politiche. In particolare, nel contesto italiano, la disinformazione di genere etichetta le donne in politica come nemiche delle donne e dei bambini, brutte, bugiarde, inaffidabili, privilegiate e incompetenti.
Sui social, gli attacchi contro le donne proliferano grazie ad ambienti maschili, che sostengono come l’attuale sistema democratico sia sbilanciato in favore delle donne. Una retorica vittimistica che ricalca quella già osservata nella Russia contemporanea, ma che in Italia si è diffusa grazie alle community dei cosiddetti celibi involontari, secondo cui i maschi sarebbero vittime del femminismo.
(V.M)