In questa intervista, il Presidente del Tribunale di Milano, Roberto Bichi, racconta le difficoltà incontrate da magistrati e avvocati durante l’emergenza Covid-19, e auspica una semplificazione normativa per migliorare il rapporto tra cittadino e pubbliche amministrazioni.
E’ possibile fare un bilancio della pandemia per il Tribunale di Milano con dati e cifre relative al numero di processi svolti in presenza o da remoto?
Durante il periodo di sospensione obbligatoria nei mesi di marzo-aprile 2020 il Tribunale di Milano, oltre a gestire molti procedimenti d’urgenza civili e i procedimenti penali a trattazione necessaria riguardanti gli arrestati (convalida, direttissime), ha definito 2620 cause civili e 290 procedimenti penali. Si tratta di una produzione significativa, tenuto conto della “sospensione” obbligatoria della maggior parte degli affari, ma comunque estremamente inferiore rispetto al medesimo periodo ordinario dello scorso anno, pari grosso modo, ad un decimo per il penale e a un quinto/sesto per il civile.
Le direttissime e le convalide degli arrestati sono state fatte quasi tutte “da remoto”, cioè con collegamento video: giudice e cancelliere in aula, arrestato, avvocati, p.m. in collegamento tramite Teams.
Per il civile, l’operatività del processo civile telematico, già da tempo acquisita, ha aiutato, essendosi svolti quasi tutte le trattazioni con scambio di note e memorie con deposito telematico e, così pure, per il provvedimento del giudice.
Quali difficoltà sono emerse nello smart working?
Per quanto riguarda lo smart working, il “lavoro agile” ha riguardato circa il l’85% del personale amministrativo; il resto ha partecipato a rotazione ai presidi presso il Palazzo di Giustizia. Il problema principale consiste nel fatto che il personale non ha accesso telematico da casa ai registri di Cancelleria, per cui non può lavorare per l’accettazione o lo scarico degli atti e dei provvedimenti. Questo, a tutt’oggi, è il vero limite per una produttività accettabile.
Inoltre vi è una necessità di assistenza del giudice “in presenza” del cancelliere, soprattutto nel penale, che, anche in prospettiva, è ineliminabile.
Nella fase di ripresa post-pandemia sarà decisivo il ruolo dei cancellieri. Come vi state organizzando? Lei ha diffuso nei giorni scorsi alcune linee guida.
Proprio per questo, nella fase due di riprese, a seguito di trattativa con il personale, pur rimanendo lo smart working opzione privilegiata, la quota delle presenze, a turno, dei cancellieri è stata incrementata e portata a circa il 25%.
Ci saranno dei cambiamenti, secondo lei, nel rapporto tra avvocati e magistrati dopo il Covid-19?
La risposta è collegata a molte e diverse valutazioni. Penso, come la maggior parte degli avvocati, che il processo è e deve rimanere una dialettica di opposte tesi avanti ad un giudice, in una discussione immediata, con una percezione diretta e concreta delle prove testimoniali. Ma in questo periodo di forzata gestione da remoto si è visto che alcune udienze preparatorie, molte attività di comunicazione e di trasmissione di atti e informazioni possono essere gestite tra avvocato, giudice e ufficio giudiziario senza bisogno di accessi fisici in Tribunale. Come detto questo è un dato da tempo acquisito nel processo civile, ma anche per il processo penale tali fasi di mero “servizio” potrebbero ben essere riservate alla comunicazione telematica. Credo che l’esperienza sia servita per far prendere consapevolezza a tutti di questa possibilità, anche per il periodo non emergenziale.
Si è presa anche consapevolezza del fatto che la conferenza telematica presenta ancora grandi difficoltà, quando si cerca di applicarla a processi con più parti. Spesso numerose sono le interruzioni e gli arresti video e audio. Ciò affatica il dibattimento, che comunque richiede – se in video conferenza- tempi ben più lunghi del processo in presenza.
Ha qualche proposta da rivolgere alle istituzioni per rendere più efficiente la macchina giudiziaria?
La lista sarebbe ovvia e ripetitiva: più investimenti tecnologici, rinnovamento del personale amministrativo con assunzioni di giovani con preparazione e sensibilità informatica. Ma, soprattutto, interrompere un flusso di norme, di cambiamenti normativi – quella che il professor Gabrio Forti chiama nomorrea – che non solo rende sempre più difficile il rapporto tra cittadino/utente e P.A., compresa l’Amministrazione della Giustizia, ma determina, anche in fase di giudizio, una continua incertezza e imprevedibilità sia della tutela giudiziaria, sia della determinazione tra ciò che è lecito e ammissibile e ciò che è vietato. Una della cause principali delle difficoltà del Paese risiede proprio in questa “incalcolabilità” delle regole di diritto.