Come ogni tecnologia, l’Intelligenza Artificiale è uno specchio della realtà in cui ha preso vita e in quanto tale ne riflette i valori. È per questo motivo che il divario di genere, così radicato nella società odierna, è ora presente anche nell’AI, che a sua volta, essendo sempre più pervasiva, rischia di ampliare il fenomeno in maniera esponenziale.
La radice del problema va ricercata nelle modalità di addestramento dei sistemi di AI. Questi, infatti, vengono allenati utilizzando database spesso contenenti bias legati alla sottorappresentazione delle donne; così gli algoritmi che ne derivano ripropongono quegli stessi bias, fornendo suggerimenti che dal punto di vista del genere risultano distorti.
In questa prospettiva gioca un ruolo significativo il digital divide: le donne hanno meno probabilità di possedere un cellulare e di utilizzare internet mobile perché la loro possibilità di accedere alle tecnologie è ridotta rispetto a quella degli uomini. Questo comporta che siano più di 200 milioni di utenti donne in meno rispetto agli uomini che generano dati che poi verranno utilizzati dalla tecnologia, creando così set di informazioni incompleti e parziali, incapaci di rappresentare la realtà in modo adeguato. In questo processo la voce delle donne si perde perché gli algoritmi non sono in grado di riconoscere il genere femminile e le caratteristiche che lo differenziano da quello maschile.
A questo si somma il fatto che questi processi, nella maggior parte dei casi, sono presieduti unicamente da uomini: questo fa sì che molti pregiudizi di genere non siano notati e non vengano quindi corretti. La mancanza di una sensibilità specifica in questo senso, di uno sguardo critico che permetta di riconoscere e valutare le conseguenze di queste discriminazioni, rischia di penalizzare fortemente chiunque rientri in schemi di diversità rispetto ai modelli sociali di riferimento. Infatti, la sottorappresentazione non riguarda solo le donne, bensì molte categorie, quali le minoranze etniche, che finiscono per essere marginalizzate dalla tecnologia.
Un esempio indicativo del problema è quello del riconoscimento facciale: in media è affidabile per il 99% degli uomini, ma il livello scende al 35% quando si tratta di riconoscere donne di colore. Così alle distorsioni di genere si aggiungono anche quelle legate alla razza.
Cosa fare quindi per eliminare, o quantomeno ridurre, il problema delle discriminazioni di genere (o di altro tipo) nell’Intelligenza Artificiale? Il primo passo è quello di aumentare la diversità all’interno dei team che si occupano di progettare gli strumenti AI: coinvolgendo le donne, in particolare quelle appartenenti a minoranze, nei processi di disegno, sviluppo e test delle nuove tecnologie, si includeranno nuovi punti di vista in grado di rispondere alle esigenze di un pubblico più ampio.
Facendo un passo indietro, rimane fondamentale, per ridurre il gender gap, il contributo di tutti quegli attori sociali che hanno a che fare con l’istruzione e lo sviluppo delle persone, a partire dalla famiglia, per arrivare alla scuola e all’università. Genitori e insegnanti hanno il compito di fornire un’educazione che non riproduca pregiudizi di genere, ma che stimoli un’inversione di rotta. Solo in questo modo si renderà possibile un avvicinamento delle donne alle materie STEM e di conseguenza alle professioni in ambito tecnologico.
A.L.R