Si è parlato troppo poco durante la pandemia dell’iniziativa presa da diversi medici sul territorio italiano, che hanno deciso di prestare le dovute cure per il virus ai pazienti presso le loro abitazioni.
Uno dei medici di cui si è maggiormente sentito parlare è Piersevero Micheli, il “medico eroe” di Orzinuovi, che all’età di quasi 70 anni è ormai costretto ad andare in pensione. La sua storia professionale ha fatto il giro dell’Italia in poco tempo. Il dottor Micheli in quella zona era rimasto l’unico che, durante il pieno della prima ondata di Covid-19, continuava ad andare a visitare i suoi pazienti a casa, come se le loro abitazioni fossero dei veri e propri reparti ospedalieri. Si presentava con tutti gli strumenti di tutela, la visiera, doppia mascherina e tuta protettiva, anche rischiando per la sua età avanzata.
Circa un anno fa, in un’intervista a La7, aveva affermato: “Sono l’ultimo ingranaggio, quello che mette le mani sulle persone. Abbiamo bisogno di medici che vadano ad applicare quello che si sa sulle persone, che vadano nelle loro case e che facciano le diagnosi”.
Sulla scia di quanto fatto dal dottor Micheli, diversi medici “disobbiedienti” nel corso di quest’ultimo anno, hanno elaborato degli schemi per le terapie domiciliari.
Il governo e con esso la normativa si sono sempre opposti all’argomento, ritenendo che le migliori cure debbano essere portate avanti in ospedale, anche perché i medici rischiano loro stessi nell’entrare in contatto con ambienti “non sterili”.
Nonostante ciò, però, anche e soprattutto per non intasare le terapie intensive di molti ospedali, alcuni medici hanno disobbedito ai protocolli ed hanno curato i pazienti a domicilio, con tutte le precauzioni del caso.
In un’inchiesta effettuata di recente, diverse sono state le testimonianze di medici che hanno deciso di unirsi attraverso la rete e si sono riuniti in diversi gruppi come “Medici in prima linea”.Il motivo scatenante alla base delle azioni “indisciplinate” di questi professionisti risiede nel fatto che, spesso e volentieri, durante questo anno, ci si è sentiti dire che fosse meglio restare a casa prima di recarsi in ospedale ed affollare ulteriormente i reparti. Sulla base di ciò, questi cosiddetti “medici coraggiosi” hanno ritenuto che anche i malati lievi andassero curati e, se necessario, nelle proprie abitazioni, così da eliminare il pericolo di ricovero all’origine.
Un altro medico, l’oncologo piacentino Luigi Cavanna, ha seguito le orme del dottor Micheli e dal primo giorno della pandemia ha preferito curare i malati in casa prima che i sintomi divenissero troppo gravi. “Come oncologo –ha detto- sono anni che ho compreso che è dovere del medico andare verso i bisogni dei malati. Quando è necessario, la medicina deve uscire dall’ospedale” e sulla base di ciò ha affermato anche che si sarebbe aspettato che le Istituzioni predisponessero una strategia di intervento mirato e preventivo sul territorio.
L’insegnamento, dunque, è che tutti questi uomini coraggiosi e per così dire “disobbedienti” hanno sì rischiato la loro vita e, in certi casi, anche la loro professione, ma hanno continuato, sempre, ad inseguire quell’ideale per cui hanno giurato solennemente: proteggere e curare i pazienti, ad ogni costo.