La recente iniziativa del Comitato Europeo (Coordinated Enforcement Framework – CEF 2023) con focus sulla designazione e sulla posizione dei Data Protection Officer, offre lo spunto per una riflessione profonda sul ruolo effettivo dei DPO negli enti e nelle aziende.
L’indagine è volta a accertare la posizione ricoperta dai DPO all’interno delle organizzazioni e, in particolare, a verificare l’effettivo svolgimento delle attività demandate ai DPO.
La prima domanda che occorre porsi è sicuramente quanto i DPO siano stati in grado di farsi conoscere, rendendo noto il loro ruolo. Indubbiamente l’ambito data protection è considerato ad oggi ancora estremamente specialistico, la compliance privacy è ancora inesorabilmente percepita quale mera serie di adempimenti burocratici e molte volte addirittura come vero e proprio ostacolo allo sviluppo del business. In questo senso siamo lontani dall’effettività del DPO come “Garante” interno che, operando in piena indipendenza e autonomia, supporta il business ed è percepito come fondamentale affinché l’ente sviluppi i propri piani e progetti in conformità alle normative vigenti e nel rispetto dei diritti inviolabili degli interessati.
Le attività svolte dal DPO sono indiscutibilmente di media ed elevata complessità, richiedono competenze trasversali sempre più specifiche e dettagliate anche dal punto di vista tecnico e prevedono che il DPO sia in grado di collaborare con pressoché tutte le funzioni dell’organizzazione. Nonostante questo, una delle difficoltà maggiori sta nel riuscire a comunicare in maniera efficace il suo lavoro e le attività svolte. Considerando l’ambito aziendale, ci chiediamo quindi, se e in che misura il DPO sia riuscito a comunicare al Titolare, ai colleghi, ai collaboratori, ai fornitori esterni, l’effettiva portata del suo ruolo, l’importanza e la complessità dei progetti e delle questioni.
Come si può risolvere questo problema comunicativo, con la conseguente mancanza di riconoscimento dell’importanza dei DPO? Con un po’ di personal branding. Attraverso un’analisi iniziale bisogna arrivare ad una vera e propria autopromozione di se stesso.
La propria reputazione e la propria credibilità dipendono da quanto efficacemente si riesce a comunicare la propria competenza e a distinguersi dagli altri, determinando così la qualità del proprio lavoro. Sviluppando una vera e propria strategia di marketing, il DPO potrebbe acquistare autorevolezza e costruirsi una reale (o meglio, realmente percepita) reputazione, dopo aver maturato una consapevolezza di sé e della propria identità lavorativa. Anche il DPO in poche parole dovrebbe in primis chiedersi cosa comunica di sé, del suo ruolo agli altri.
Per essere identificati come persone competenti, affidabili e che costituiscono un plus per i meccanismi organizzativi e i progetti aziendali, i DPO dovrebbero riuscire a comunicarlo in modo efficace e con contenuti di oggettivo valore per l’ente, usando formule e linguaggi adatti all’interlocutore con cui si interfaccia, abbandonando la rigidità del giurista per collegarsi in modo sinergico alle altre funzioni. Si dovrebbero comunicare in modo altrettanto efficace i “successi”, ogni qualvolta il loro supporto e la loro consulenza siano stati determinanti per l’ente, consentendo allo stesso di raggiungere un obiettivo strategico nel rispetto della legge e al riparo da rischi di sanzioni o reclami e portando magari ad un incremento della brand reputation dell’ente.
È quindi più che ragionevole pensare che sia opportuno ed utile includere nei percorsi formativi specialistici dei DPO, anche corsi che aiutino lo stesso a costruire e consolidare il proprio ruolo nei confronti dell’organizzazione e delle altre figure che la compongono. Non si può prescindere dal miglioramento di soft skill quali la comunicazione, il problem solving, il public speaking e, in generale, il “branding di se stessi”, per avere l’opportunità di vivere effettivamente le realtà in cui sono collocati e non limitarsi al solo “sopravvivere”, ma vedersi riconosciuti e considerati.
(G.S)
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