Siamo certi che il lockdown dello scorso anno non sia stato un sacrificio inutile? No, e non lo sapremo mai, ma diversi dubbi emergono da una ricerca condotta dall’università californiana di Stanford , secondo la quale la chiusura totale del paese non rappresenta e non rappresentava già allora l’arma migliore contro il virus.
Il dubbio sull’inefficacia del lockdown entra quindi prepotentemente nel nostro cervello e manda in crisi gran parte dei cittadini, che si interrogano sul fatto che il sacrificio di tre mesi passati in casa possa essere servito a poco e niente. E l’interrogativo nasce proprio dopo la lettura dell’ultimo studio di un team internazionale di scienziati, di stampo italiano, sugli effetti a lungo termine di una chiusura.
Secondo l’analisi effettuata, solo i 17 giorni successivi all’entrata in vigore delle misure restrittive determinano l’entità della diffusione del contagio: l’andamento sembra dipendere quindi dai focolai divampati nei primi giorni della pandemia e non dalle differenze nel rigore del lockdown.
Sembra che i lockdown siano più che altro decisioni politiche, che però hanno coinvolto inevitabilmente la salute degli italiani ed allo stesso tempo l’economia.
A sostegno di tale teoria, molti guardano l’esperienza della Svezia, che nonostante abbia fronteggiato la campagna diffamatoria dei media italiani, non ha imposto alcun lockdown ma, al contrario, ha promosso regole comportamentali che non hanno chiuso scuole né attività.
Il governo svedese ha raccomandato distanze minime, di lavarsi le mani con regolarità e rinunciare ai viaggi di interesse secondario, ove possibile. Sono stati vietati assembramenti di oltre cinquanta persone e non c’è mai stato l’obbligo di utilizzare la mascherina, che è sempre stata considerata rischiosa per il falso senso di sicurezza che dà.
La strategia svedese si è concentrata sulla protezione dei vulnerabili (anziani e bambini) mentre si è lasciato libero il resto della popolazione.
Ad oggi i contagi sono calati ai minimi storici nonostante la loro strategia di difesa sia rimasta costante nel tempo.
Ciò che oggi resta da chiedersi è se il bel paese freddo abbia attuato una corretta strategia e se anche l’Italia possa pensare di adeguarsi agli stessi standard: si ritiene, da parte di molti, che la stessa riduzione dei casi possa essere raggiunta attraverso interventi meno restrittivi.
Il grande problema nazionale è che il governo non comunica e, se lo fa, lo fa male.
Siamo certi allora che ciò che si sta facendo sia giusto e strettamente necessario?