È diffamazione insultare, in presenza di altre persone, chi invece è assente. La legge punisce chi compie questo reato, soprattutto quando l’offesa è effettuata attraverso strumenti che ne consentono una facile ed ampia diffusione, come nel caso di internet.
In questo contesto, è lecito chiedersi se il soggetto che amministra o gestisce una pagina web, un canale YouTube o qualsiasi altra tipologia di portale online possa essere condannato per diffamazione nell’ipotesi in cui uno degli utenti abbia deciso di pubblicare commenti lesivi della reputazione altrui.
Perché sia accertato il reato di diffamazione devono verificarsi tre condizioni:
- l’assenza della persona offesa (non deve essere in grado di percepire gli insulti, diversamente si tratta di ingiuria),
- la presenza di almeno altre due persone (diverse dal diffamatore e dal diffamato),
- la lesione della reputazione della vittima.
La diffamazione mediante strumenti telematici è severamente punita perché viene equiparata a quella che avviene a mezzo stampa (cioè con uno strumento di pubblicità). Inoltre le offese possono diffondersi così rapidamente da diventare presto incontrollabili e questo comporta un maggior danno per la vittima. Alcuni esempi di diffamazione in internet sono i commenti pubblici sui social network e sui blog, le denigrazioni nelle chat di gruppo e gli insulti tramite e-mail condivisa con più persone.
Secondo la Corte di Cassazione (sentenza n. 54946 del 27 dicembre 2016) il gestore di un sito web può essere condannato per diffamazione aggravata nel momento in cui non rimuove tempestivamente i commenti denigratori che appaiono sulla propria pagina, anche se sono stati scritti da altri. Chi gestisce un sito web, quindi, è responsabile di ciò che accade al suo interno, compresi i contenuti condivisi da altri utenti. L’amministratore di un sito che accetta di vedere sul proprio sito commenti denigratori si rende responsabile del medesimo reato che commette chi ha pubblicato quei contenuti. Per la rimozione tempestiva dei commenti diffamatori, la giurisprudenza non ha però indicato un termine esatto entro cui agire: l’importante è che non trascorra troppo tempo dalla pubblicazione.
Secondo la sentenza n. 7220 del 12 gennaio 2021 della Corte di Cassazione, invece, perché si abbia responsabilità penale è necessario che sussistano elementi che denotino la compartecipazione dell’amministratore del sito all’attività diffamatoria. In questo caso, il titolare di un sito internet è stato ritenuto colpevole di diffamazione perché aveva condiviso un articolo offensivo della reputazione altrui e aveva collaborato alla raccolta delle informazioni necessarie per la sua redazione.
L’orientamento che emerge dalla seconda sentenza presa in esame è più attento al rispetto dei principi che regolano il concorso di persone nel reato, in base ai quali si può rispondere del crimine commesso da altri solo se si fornisce un contributo materiale all’azione delittuosa.
M.M.