Il paradigma autonomia/subordinazione ha sempre dominato gli studi dei cultori di Diritto del lavoro. Se è vero infatti che il rapporto di lavoro subordinato trova la sua consacrazione giuridica nell’ art. 2094 c.c. (il quale afferma che “è prestatore di lavoro subordinato chi si obbliga mediante retribuzione a collaborare nell’impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore”) e quello autonomo nell’art. 2222 c.c. rubricato “Contratto d’opera”, (che individua i seguenti tre tratti peculiari: prestazione di lavoro prevalentemente personale, assenza di vincolo di subordinazione e corresponsione di un corrispettivo) è altrettanto vero che, nella pratica, il processo identificativo della modalità concreta del rapporto di lavoro ha dovuto fare i conti con realtà sociali in rapido mutamento (si pensi ad esempio al caso emblematico del “lavoro agile”, tanto discusso soprattutto nel periodo di pandemia che stiamo vivendo). Il rapporto di lavoro giornalistico, definito “Speciale” dal Diritto del lavoro a causa delle sue peculiarità (Iscrizione all’Ordine, presenza di un contratto collettivo nazionale dei giornalisti, responsabilità del Direttore ecc.) si distingue anche per quanto riguarda la qualificazione del rapporto. Infatti, come ha avuto modo di osservare il Tribunale di Roma, nella recente sentenza 6935 del 2021, la presenza in una redazione e la quotidiana prestazione di lavoro, nonché la messa a disposizione della propria attività nel contesto redazionale, con rispetto di direttive impartite da Direttore responsabile, Vice-direttori o Caporedattori, e infine l’erogazione di un compenso mensile fisso, sono tutti elementi che caratterizzano la prestazione lavorativa orientandola verso la sua natura subordinata. L’autonomia viene altresì esclusa a causa di altri fattori quali l’obbligo di esclusiva richiesto dal datore o l’indispensabile impegno fornito dai giornalisti per la realizzazione del quotidiano di informazione online: essa, infatti, presuppone un’assenza dei tre poteri in capo al datore di lavoro, ovvero quello direttivo, disciplinare e di controllo, cosa che nel nostro caso non potrebbe essere plausibile, e l’assenza di un apporto quotidiano e costante per una produzione (nel nostro caso in una realtà redazionale), anch’esso incompatibile con la professione giornalistica. Nello specifico della Sentenza, le parti chiedevano al giudice di dichiarare I’insussistenza dell’obbligo contributivo rispetto alle pretese avanzate dall’Inpgi, sostenendo che I’attività svolta non fosse stata caratterizzata nel senso della subordinazione, escludendo pertanto che gli ispettori INPGI avessero idoneamente provato “la non genuinità delle collaborazioni coordinate e continuative e/o a progetto, la sussistenza di vincolo gerarchico, di eterodirezione, di potere di ingerenza nell’attività dagli stessi prestata, di vincolo di orario, di potere disciplinare”. Tuttavia il giudice, come rilevato prima, respingeva tale tesi sostenendo che, nel lavoro giornalistico, l’elemento della subordinazione risulta attenuato sia in ragione della natura prevalentemente intellettuale e creativa della prestazione, sia in forza del carattere collettivo dell’opera redazionale.
di Matteo Cotellessa
Giornalista Mediaset e cultore della materia di Diritto dell’informazione e Diritto europeo dell’informazione con il Prof. Ruben Razzante (Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano), fondatore del portale www.dirittodellinformazione.it