Nel caso in questione, una dipendente della Polizia Municipale era stata sospesa dal servizio per sei giorni a seguito di una sanzione disciplinare per aver diffamato gravemente il Comandante del Corpo e un collega. Successivamente, aveva sporto denuncia nei loro confronti accusandoli di molestie ma tale procedimento era terminato con l’archiviazione del caso.
Nonostante ciò, il Comune aveva avviato un nuovo procedimento disciplinare contro la donna che si era concluso con il licenziamento senza preavviso ai sensi dell’articolo 55 quater lettera e) del Testo Unico del Pubblico Impiego.
La ex lavoratrice ha impugnato il licenziamento dinanzi al Tribunale competente; dapprima tale domanda è stata accolta e, successivamente, è stata rigettata in sede di reclamo dalla Corte territoriale.
La Corte di Cassazione ha confermato la legittimità di questa decisione, sottolineando che le condotte della dipendente erano lesive dell’onore altrui e gettavano discredito sull’intero ambiente di lavoro.
Secondo la Cassazione, la denigrazione dei colleghi costituisce una condotta grave, in quanto colpisce non solo i singoli individui ma anche l’istituzione di appartenenza. Inoltre, non assume rilevanza il fatto che la querela rivelatasi calunniosa sia un atto esterno all’ambiente di lavoro, poiché è sufficiente che tale atto abbia conseguenze dirette all’interno della sfera lavorativa.
In conclusione, la Corte di Cassazione ha ribadito la legittimità del licenziamento senza preavviso in questi casi, confermando la decisione presa dal Comune. Questa sentenza (n°7225\2023) rappresenta un importante precedente giuridico per le aziende e le pubbliche amministrazioni, che potranno agire in modo deciso contro i comportamenti lesivi dell’onore altrui e del buon funzionamento dell’ambiente di lavoro.
(S.F.)