Uno studio italiano coordinato dall’Università statale di Milano, indagando la fase post ospedaliera dei malati di Covid-19, a distanza di 5 mesi dalla dimissione, ha evidenziato attraverso un’istantanea molto precisa alcune delle conseguenze neurologiche che persistono nei pazienti anche dopo mesi dal giorno in cui hanno lasciato l’ospedale.
Rallentamento mentale e difficoltà di memoria sono alcuni dei sintomi più persistenti, riferiti dai reduci della grande battaglia contro il Covid-19, che continua a lasciare troppe vittime.
Sono persone che, pur lasciandosi alle spalle l’ospedale e con esso tutte le sofferenze patite, continuano in realtà a fare i conti con il nemico in forma indiretta: lamentano spesso stanchezza e mancanza di lucidità, fatica nelle attività quotidiane come il lavoro, anche agile, o azioni pratiche come guidare la macchina e fare la spesa.
Lo studio è stato pubblicato sulla rivista “Brain Sciences” e riporta la valutazione delle funzioni cognitive cinque mesi dopo la dimissione dall’ospedale, in un gruppo di 38 pazienti analizzati, che precedentemente erano stati ricoverati.
Il fenomeno, nella maggior parte dei casi, evidenzia come una varietà di soggetti, tra i 22 ed i 74 anni, prima del ricovero non presentasse nessun tipo di sintomo o disturbo dell’attenzione o della memoria.
La ricerca è stata coordinata da Roberta Ferrucci ed ha visto la collaborazione del Centro Aldo Ravelli, dell’Asst Santi Paolo e Carlo, e dell’Irccs Istituto Auxologico di Milano: la “diagnosi” finale evidenzia che 6/10 pazienti guariti dal Covid-19 hanno un rallentamento mentale e 2/10 riportano oggettive difficoltà di memoria.
Questi disturbi, puntualizzano gli autori dello studio, non sono associati a depressione ma sono correlati alla gravità della relativa insufficienza respiratoria durante la fase acuta della malattia.
“Questo è uno studio importante che dimostra che i disturbi di memoria e il rallentamento dei processi mentali osservati, in più della metà dei nostri pazienti, persistono anche mesi dopo la dimissione “- spiega Alberto Priori, direttore della Clinica neurologica dell’università di Milano presso il Polo Universitario Ospedale San Paolo.
“Queste alterazioni – conclude- possono, nei casi più gravi, anche interferire con l’attività lavorativa, particolarmente per chi ha un ruolo che richiede decisioni rapide, come gli stessi medici o gli infermieri. Il meccanismo per cui il virus altera le funzioni cognitive è complesso”.
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