In passato, l’aggravante di diffamazione era applicata alle condotte commesse attraverso mezzi di stampa. Tuttavia, con l’evoluzione delle tecnologie di comunicazione, nuovi strumenti tecnologici, tra cui Internet, hanno raggiunto lo stesso grado di offensività. Pertanto, la giurisprudenza ha esteso le circostanze in cui l’aggravante può scattare, includendo le nuove tecnologie informatiche e telematiche.
L’inserimento di un messaggio su Internet è stato ritenuto dalla giurisprudenza come una presunzione di alto rischio di diffusione dei contenuti diffamatori. Tuttavia, non è l’uso della rete in sé ad attivare l’aggravante, ma lo specifico strumento utilizzato per comunicare l’opinione diffamatoria. Siti web e commenti sui social media sono considerati i più pericolosi per la diffusività dei contenuti, ma lo stesso non si può dire per la posta elettronica, nonostante utilizzi anch’essa mezzi telematici sulla rete.
L’aggravante infatti si riferisce alla pubblicità data al contenuto diffamatorio di fronte a un’ampia platea di persone. In passato, l’aggravante era stata introdotta per la diffusione attraverso mezzi di stampa a causa della diffusività di tali strumenti. Oggi, tuttavia, nuovi strumenti tecnologici, tra cui Internet, hanno raggiunto lo stesso grado di offensività. Pertanto, la giurisprudenza ha esteso le circostanze in cui l’aggravante può scattare, includendo le nuove tecnologie informatiche e telematiche.
In particolare, la recente sentenza n. 31179/2023 della quinta sezione penale della Cassazione, alla luce della moderna giurisprudenza, stabilisce una netta distinzione tra i due strumenti telematici. Secondo la Corte Suprema, la pubblicazione dello stesso messaggio tramite PEC (o e-mail) o su siti web a pagamento ha un diverso grado di offensività potenziale, a meno di prova contraria.
Secondo i giudici, nel caso della pubblicazione su siti web o sui social media, il messaggio offensivo si presume diffuso a un numero indeterminato di destinatari, e quindi la diffamazione risulta aggravata. Tale presunzione, tuttavia, non si applica nell’invio tramite posta elettronica, anche se indirizzata a diversi destinatari. L’accesso riservato e protetto tramite credenziali presuppone una comunicazione con una persona specifica e senza finalità intrinseche di pubblicizzazione dei messaggi ricevuti.
La sentenza riconosce tuttavia l’esistenza di una giurisprudenza consolidata su questo tema, in cui ad esempio l’invio di una mail diffamatoria a una casella di posta elettronica potenzialmente accessibile da più soggetti (come quelle istituzionali consultabili non solo dal destinatario, ma anche dagli addetti alla corrispondenza) costituisce l’aggravante stessa.
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