Nel suo libro “Il benessere digitale” (Il Mulino, 2019), Marco Fasoli – assegnista di ricerca dello IUSS di Pavia, fondatore del progetto «Digitale Responsabile» e membro del NETS e del centro di ricerca «Benessere Digitale» dell’Università di Milano–Bicocca – esalta le potenzialità del web ma mette anche in guardia dai suoi pericoli per l’equilibrio psichico degli utenti. Il nostro portale gli ha rivolto alcune domande, a partire dagli interessanti contenuti del suo volume.
Come è cambiato il rapporto tra persone e tecnologie con la pandemia?
Con la pandemia abbiamo assistito ad un deciso incremento dell’uso della rete e delle tecnologie digitali, che in molti casi si sono trasformate da semplice alternativa a unica soluzione plausibile per chi voleva e doveva continuare a lavorare, almeno in fase di lockdown. Il ché ha spinto anche quelle persone che ancora avevano un uso scarso del digitale a modificare le loro abitudini, sperimentando le tecnologie in modo nuovo. Per quanto riguarda le relazioni personali e il tempo libero, la rete ha rappresentato un canale fondamentale che ci ha permesso di mantenere i contatti e intrattenerci nei momenti più difficili. Il risultato è un generale aumento del tempo speso online e, da un’altra prospettiva, un ulteriore incremento dei guadagni dei colossi Big Tech.
I contenuti del suo libro sono ancora attuali alla luce della pandemia?
Onestamente, mi pare che la pandemia abbia portato ad emersione ancor di più quelli che sono i punti fondamentali del mio libro. Da un lato la rivoluzione digitale ci offre opportunità che in tempo di Covid e di isolamento sono più che preziose, quasi salvifiche. Tuttavia, dall’altro lato, esse rappresentano un elemento faticoso da gestire. Pensiamo allo stress generato dal sovraccarico informativo, per esempio quello riguardante i numeri del contagio e la foga con cui, nei giorni più difficili della prima ondata, alcuni di noi controllavano le notizie, postavano contenuti, commentavano post, ecc.. La quantità di informazioni e l’insistenza di notifiche di aggiornamento erano un aspetto critico, che rischiava di mantenerci in uno stato di allerta permanente che ha danneggiato soprattutto le persone meno stabili da un punto di vista psicologico. Lavorare per la prima volta davanti al PC, inoltre, esponeva a un numero di interruzioni e a una frammentazione dei tempi quotidiani che non poteva non risultare come un fattore positivo a livello di benessere personale. Insomma, interrogarsi rispetto all’impatto che le tecnologie digitali hanno sul nostro benessere è più attuale che mai.
Dal suo punto vista, l’espansione delle tecnologie aumenta o restringe gli spazi di libertà degli individui?
Anche in questo caso, non esistono risposte semplici, univoche, ma ci sono due lati della medaglia. Il fenomeno del digitale è assai sfaccettato, e allo stesso tempo il concetto di libertà è complesso e articolato. Quello che si può dire è che per certi versi godiamo di più libertà, se la intendiamo come possibilità di azione. Possiamo accedere a più fonti di informazione, tipologie di intrattenimento, canali di comunicazione e possiamo farlo più facilmente. Dall’altro lato, non vedere anche gli aspetti problematici sarebbe ingenuo. Ci dimentichiamo spesso che non siamo agenti razionali ottimali ma abbiamo limitazioni cognitive che possono e sono sfruttate in modo eticamente discutibile da molte aziende che operano online. Mi riferisco a quei meccanismi manipolativi che agiscono inconsciamente, come dimostrato dal caso Cambridge Aanalytica, e che rischiano di mettere a repentaglio la nostra libertà di azione tanto quanto il nostro benessere. Non è solo una questione di autocontrollo e di intelligenza, ma di vera e propria regolamentazione di un fenomeno nuovo e complesso, che speriamo arrivi presto e in modo efficace. Il potere delle aziende digitali oggi è molto forte, ed è senza precedenti nella storia tecnologica e politica. In quanto tale esso rappresenta ovviamente anche una minaccia alle nostre libertà, se non adeguatamente controllato, soprattutto perché l’obiettivo principale ultimo di tali aziende è raccogliere più dati possibile, mentre il nostro è vivere in modo bilanciato il digitale, comunicando, informandoci e divertendoci.
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