Per capire in quali casi è lecito registrare una conversazione è utile considerare l’art. 2.2, lett. c), del Regolamento UE 2016/679, per il quale la normativa ‘data protection’ non si applica ai trattamenti di dati personali effettuati da una persona fisica o per l’esercizio di attività a carattere esclusivamente personale o domestico.
Cominciamo con il delineare la distinzione tra “personale” e “domestico”: la prima è centrata sulla natura obiettiva (personale o professionale/commerciale) dell’attività, mentre la seconda sull’ambito di estensione della stessa. Per questo motivo, per le attività online e per l’uso dei social network, sarà la platea dei destinatari a stabilire il confine ‘naturale’ dell’esenzione stessa, che dovrebbe ritenersi superato ogni volta che i dati siano oggetto di diffusione, anziché di condivisione controllata.
Nelle Linee Guida 03/2019 è interessante leggere la precisazione contenuta al punto 13: non si reputa scontato il richiamo all’esenzione per il solo fatto che il trattamento sia gestito all’interno dei locali di un privato. Ciò implica che chi utilizza la videosorveglianza presso il proprio domicilio verifichi se abbia un qualche tipo di rapporto personale con l’interessato, se la portata o la frequenza della sorveglianza siano indicative di una qualche forma di attività professionale da parte sua, nonché il potenziale impatto negativo della sorveglianza sugli interessati.
La combinazione disposta della definizione legale, dagli esiti della giurisprudenza e dai contenuti degli atti di ‘soft law’ permette all’interprete di orientarsi, anche se non mancano delle incertezze.
Possiamo quindi trarre queste sintetiche conclusioni:
- se una persona raccoglie e si limita a conservare a scopo personale delle registrazioni di conversazioni con terzi, con ciò non viola la normativa ‘data protection’ nella misura in cui essa non si applica alla fattispecie;
- neppure la circolazione di quei dati entro un ambito rigorosamente domestico configurerebbe, di norma, una violazione;
- se però, più o meno inavvertitamente, quella persona dovesse prestare/procurare una o più di tali registrazioni a terzi che magari ne facessero uso in giudizio o rendere pubbliche le registrazioni, allora l’esenzione domestica sarebbe oltrepassata e non potrebbe invocarsi.
Sorge spontanea una domanda: coloro che ricorrono d’abitudine alle registrazioni sanno che esistono dei limiti all’utilizzabilità dei dati così raccolti?