Secondo un report del 2021, condotto dalla Commissione Europea, nel 42% dei siti web aziendali presi in esame le affermazioni di posizionamento ecofriendly sono green claim ingannevoli e pratiche commerciali sleali.
Nel paper redatto dal Forum per la Finanza Sostenibile si evidenzia che le direttive europee menzionate mirano a garantire una maggiore trasparenza nei mercati europei. Il rapporto sottolinea anche come gli attori non statali dovrebbero essere obbligati, con forza di legge, a stilare rapporti annuali sullo stato dei loro impegni di azzeramento delle emissioni, fornendo ad autorità nazionali e organizzazioni internazionali informazioni certe e verificabili. In questo modo le promesse e gli impegni volontari di riduzione delle emissioni, di grandi aziende e altri attori non statali, dovrebbero essere sostituiti da regolamenti vincolanti che delineino obiettivi a breve e medio termine, dando alle stesse aziende anche la responsabilità delle emissioni prodotte dall’uso dei loro prodotti e il loro inquinamento diretto.
Alla Cop27, Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici del 2022 (tenutasi dal 6 al 18 novembre in Egitto), l’esperta Amanda Starbuck, membro del gruppo di lavoro HLEG delle Nazioni Unite e direttore del programma per gli investitori Sunrise Project, ha denunciato il problema, sottolineando che “il greenwash è sfuggito al controllo. Le aziende e le istituzioni finanziarie che si impegnano per le zero-emissioni non possono più dichiararsi ignoranti o evitare di assumersi le proprie responsabilità con il greenwash: net-zero significa riduzione immediata delle emissioni climatiche e certamente nessuna crescita dei combustibili fossili. Oggi ci uniamo a scienziati, economisti e a un coro globale che chiede questa ambizione alle istituzioni finanziarie, alle aziende, alle città e alle regioni”.
La domanda di titoli finanziari sostenibili continua a crescere e la questione del greenwashing è diventato un problema che non può essere trascurato, perché se non gestito e prevenuto in modo efficiente può minare gli sforzi verso la decarbonizzazione delle organizzazioni pubbliche e private.
Dunque, le autorità pubbliche stanno attuando efficaci misure di policy basate sulla scienza, le aziende si stanno impegnando in un reporting di sostenibilità chiaro e preciso, mentre gli investitori responsabili stanno mettendo in pratica strategie e decisioni di investimento che non danneggino gli altri. Anche i consumatori però devono fare la loro parte, informandosi, chiedendo maggiore trasparenza e orientando le proprie scelte verso marchi più consapevoli.
Infine, gli esperti hanno evidenziato la necessità di interrompere subito tutti i nuovi progetti estrattivi e ogni finanziamento e investimento nelle fonti energetiche fossili, in modo da ridurre concretamente le emissioni assolute di CO2.
“Esorto tutti gli attori, comprese le città, le regioni, le imprese, gli investitori, le alleanze, i paesi e le autorità di regolamentazione, a prendere sul serio queste raccomandazioni e ad applicarle con urgenza”, ha dichiarato al Guardian Laurence Tubiana, amministratore delegato della Fondazione europea per il clima.
Negli Stati Uniti si sta sviluppando una taskforce per monitorare gli investimenti e la politica sostenibile delle aziende. In Francia sono state introdotte severe sanzioni economiche e multe fino all’80% del costo della campagna pubblicitaria in questione.
Nello specifico in Italia, secondo le direttive europee e le norme del sistema giuridico italiano si possono sanzionare le attività illecite legate al fenomeno del greenwashing. L’ente italiano che si occupa di sanzionare illeciti relativi a norme europee è la CONSOB, Commissione Nazionale per le Società e la Borsa.
Si può ricorrere anche ai sensi del Codice del Consumo, che prevede una normativa relativa alla pubblicità ingannevole. Infine, anche gli articoli 9 e 41 della Costituzione italiana, sono da considerare perché citano la tutela dell’ambiente.
Anche se manca una legislatura organica e specifica per contrastare il greenwashing, esso è di fatto considerato come pubblicità ingannevole, e fino al 2014 era in capo all’Antitrust. Poi, nel 2014 è stato introdotto l’articolo 12 del Codice di Autodisciplina della comunicazione commerciale e ha stabilito come la vigilanza spetti all’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, che ha il compito di vigilare e reprimere la pubblicità ingannevole e sanzionare le aziende che praticano il greenwashing. Le sanzioni economiche possono arrivare a cinque milioni di euro.
Ci sono diversi esempi di greenwashing a cui fare riferimento:
- Nel 2010 la San Benedetto è stata multata dall’Antitrust per aver pubblicizzato la bottiglie con riduzione di plastica ed emissioni senza avere effettuato studi che provassero la veridicità delle affermazioni e del claim “amica dell’ambiente”.
- Nel 2012 la Ferrarelle è stata multata dall’Antitrust per aver pubblicizzato delle bottiglie definite “a impatto zero” grazie alla compensazione della CO2 emessa con la creazione di nuove foreste. La compensazione è durata solo due mesi, un tempo troppo breve per giustificare la definizione.
- La Sant’Anna è stata multata per l’etichetta “Bio Bottle” che riportava pregi ambientali superiori al reale.
- Nel 2013 H&M ha lanciato una campagna che prevedeva lo smaltimento e il riciclo dei capi usati. In realtà solo l’1% dei capi di abbigliamento, composto da un unico tipo di fibra, poteva essere realmente riciclato.
- Nel 2017, Walmart è stata multata e ha pagato 1 milione di dollari per aver venduto prodotti in plastica presentati come “biodegradabili” o “compostabili” senza averne le caratteristiche.
- Nel 2019 la Ryanair si è pubblicizzata come compagnia aerea europea a più basso livello di emissioni, ma tale affermazione non è stata supportata da alcun dato concreto.
- Nel 2020 ENI è stata multata dall’Antitrust per pubblicità ingannevole sul carburante ENI Diesel+ dove vi erano affermazioni sul positivo impatto ambientale connesso all’utilizzo e sulle caratteristiche di risparmio dei consumi e riduzione delle emissioni
- Il britannico di moda e cosmesi, ASOS, nel 2020 ha lanciato una collezione di 29 pezzi in poliestere riciclato definendola completamente sostenibile, ma la collezione rappresentava solo lo 0,035% della sua produzione complessiva (circa 85.000 pezzi).
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