Recentemente ha fatto il giro dei principali quotidiani la notizia dell’ordinanza cautelare emessa dal Tribunale di Gorizia nei confronti dell’azienda friulana Miko per aver utilizzato claim ambientali ingannevoli per pubblicizzare i propri prodotti e, quindi, essersi resa colpevole di greenwashing, la pratica per cui un’impresa pubblicizza l’attenzione alla sostenibilità – sia essa ambientale o sociale – ma nella realtà attua un comportamento diverso.
Il greenwashing è una pratica relativamente recente e va di pari passo con la crescente attenzione pubblica ai temi della sostenibilità e al maggiore peso dato a tale variabile dai consumatori. Seppur sempre più all’ordine del giorno la comunicazione della sostenibilità non ha una regolamentazione a sé stante ma si può ricondurre alle norme sulla concorrenza sleale e a quelle relative alla tutela del consumatore. Nello specifico, le norme a cui si può fare riferimento in caso di comunicazione della sostenibilità sono:
- Direttiva europea 29/2005. La Direttiva disciplina le pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori nel mercato interno e, grazie ad un processo di armonizzazione tra gli Stati membri, mira ad aumentare il livello di tutela dei consumatori. Non viene esplicitamente nominato il greenwashing o la comunicazione della sostenibilità ma i successivi orientamenti per l’attuazione evidenziano che i consumatori possono scegliere di prendere in considerazione anche i vantaggi ambientali nel processo decisionale d’acquisto per cui la comunicazione deve essere chiara. Nello specifico, le disposizioni della direttiva possono essere riassunte in due principi fondamentali:
- I professionisti e le imprese devono comunicare nelle loro asserzioni informazioni chiare, accurate e non ambigue (articoli 6 e 7 della Direttiva);
- I professionisti e le imprese devono elaborare le asserzioni basandosi su dati
scientifici ed essere in grado di presentare tali dati in modo comprensibile (articolo 12 della Direttiva).
- Decreto legislativo 206/2005. Conosciuto anche come Codice del Consumo, tale decreto ingloba la precedente disciplina italiana ed europea e le successive modifiche ed ha al proprio centro la tutela dei consumatori sotto diversi punti di vista. In particolare, promuove l’adeguata informazione, la corretta pubblicità e la trasparenza ed equità dei rapporti contrattuali promuovendo anche forme collettive di tutela.
- Decreti legislativi 145 e 146 del 2007. Entrambi i decreti riprendono ed ampliano il Codice del Consumo. In particolare, l’articolo 8 del d.lgs. 145/07, afferma la possibilità per l’ Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) di agire d’ ufficio, la possibilità per l’azienda di impegnarsi a risolvere l’infrazione cessando la diffusione della pubblicità ingannevole o modificandola ed anche la possibilità per l’ACGM di comminare sanzioni pecuniarie più elevate. Nel decreto 146/07, invece, vengono operate alcune modifiche al Codice del Consumo. Nello specifico, le modifiche riguardano gli articoli dal 18 al 27 del d.lgs. 206/2005 per armonizzarlo alla succitata direttiva europea.
Infine, per completare il quadro della regolamentazione del fenomeno del greenwashing appare opportuno citare il Codice di Autodisciplina pubblicitaria pubblicato dallo IAP nel 2014 in cui si afferma, all’articolo 12, che “la comunicazione commerciale che dichiari o evochi benefici di carattere ambientale o ecologico deve basarsi su dati veritieri, pertinenti e scientificamente verificabili.”
Alla luce dell’aumento dei casi di pubblicità ingannevole e di greenwashing appare necessaria una normativa ad hoc per regolare tale fenomeno in quanto il quadro normativo ricostruito poc’anzi non è specifico sul tema e non fa riferimento a standard comunicativi e produttivi a cui le imprese possono riferirsi. A tal proposito, bisogna segnalare che al vaglio della commissione europea vi è una proposta legislativa relativa alla giustificazione dei claim ambientali: la Environmental performance of products and businesses – substantiating claims. La proposta si pone come obiettivo il passaggio ad un approccio più armonizzato per la valutazione delle informazioni ambientali in modo da ottenere delle informazioni affidabili per i consumatori oltre che la riduzione e la semplificazione degli oneri amministrativi. Tale metodologia si baserebbe su metodi di calcolo dell’impronta ambientale dei prodotti e delle organizzazioni approvati dall’Europa che misurano le prestazioni lungo tutta la catena del valore, dall’ estrazione delle materie prime alla fine del ciclo di vita. La proposta dovrebbe essere adottata nel primo trimestre del prossimo anno dall’Unione e rappresenterebbe il punto d’inizio per creare una comunicazione basata su standard univoci e chiari per i consumatori.
Di Brunella Dell’Oste (estratto dalla Tesi di laurea “La regolamentazione del Greenwashing: confronto Europa – U.S.A e best practices attuabili” discussa il 13 Dicembre 2021 presso il corso di laurea magistrale in Comunicazione per le Imprese, i Media e le Organizzazioni complesse dell’ Università Cattolica del Sacro Cuore con il professor Ruben Razzante e premiata con la lode.)