Un servizio televisivo condotto a sorpresa da giornalisti che accedono a luoghi della vita privata di un individuo costituisce una violazione della riservatezza della persona, generando conseguentemente danni non patrimoniali e reputazionali, oltre alla diffamazione, anche quando seguita da pubblica rettifica.
Nel caso esaminato dalla Corte di Cassazione, il ricorrente ha visto ridotto, in sede di appello, il risarcimento dei danni non patrimoniali subiti a seguito dell’irruzione nel proprio negozio dove, nonostante fosse stato offuscato il volto, i giornalisti della troupe televisiva lo avevano indicato come falso invalido e ladro di soldi pubblici.
Tuttavia, la Corte di Cassazione – con la sentenza n.4175/2024 – ha respinto il ricorso del soggetto danneggiato, confermando la decisione della Corte d’appello di liquidare il risarcimento in conformità con i parametri stabiliti dalle tabelle milanesi. La somma accordata corrispondeva non ai casi di diffamazione di grave entità, ma a quelli considerati di modesta entità.
I parametri delle tabelle milanesi che inducono a riconoscere un danno reputazionale grave sono l’elevata notorietà, la risonanza mediatica e la sussistenza di un episodio diffamatorio di ampia diffusione. Nello specifico, il fatto che il volto del ricorrente sia stato oscurato e che non fosse una figura pubblica ha portato i giudici di secondo grado a considerare l’atto illecito come di minore gravità.
La riduzione dell’ammontare del risarcimento per il danno non patrimoniale derivante dalla divulgazione illegittima delle immagini è stata confermata, poiché la Corte d’appello ha riconosciuto che i giudici di primo grado avevano commesso un errore nell’equa valutazione dello status del soggetto come “non pubblico”, tenendo conto di circostanze attenuanti come il fatto che il volto del soggetto fosse stato oscurato, il nome non fosse stato divulgato e che fosse stata immediatamente seguita la richiesta di rettifica.
C.L.