Introduzione al Caso
La Corte Suprema di Cassazione, Prima Sezione Penale, ha emesso una sentenza di particolare rilevanza riguardante un caso di diffamazione aggravata commessa tramite l’uso di una chat di WhatsApp (Cass. Pen., sentenza n. 42783/2024, udienza dell’11 settembre 2024). Il caso in questione coinvolgeva un militare accusato di aver inoltrato un commento denigratorio all’interno di un gruppo WhatsApp con 156 partecipanti. Il messaggio in oggetto faceva riferimento, in maniera ironica e denigratoria, a una collega militare destinataria di un encomio, accostandola a un’altra persona omonima, le cui immagini in abiti succinti erano state pubblicate da un altro utente del gruppo.
Assoluzione del GUP e Conferma in Appello
Il Giudice per l’ Udienza Preliminare (GUP) del Tribunale Militare di Roma aveva assolto l’imputato, riconoscendo la particolare tenuità del fatto e ritenendo applicabile l’articolo 131 bis del codice penale, che esclude la punibilità per fatti di lieve entità. Tale decisione è stata successivamente confermata dalla Corte Militare di Appello, la quale ha ribadito la scarsa offensività del comportamento, riconoscendone la non rilevanza penale.
Ricorso per Cassazione e Motivi di Contestazione
Il ricorrente ha proposto ricorso per cassazione, contestando sia la qualificazione del messaggio come diffamatorio sia l’applicabilità dell’aggravante relativa all’uso del mezzo di pubblicità. La Corte di Cassazione ha ritenuto parzialmente fondato il terzo motivo del ricorso, incentrato sull’applicazione dell’aggravante del mezzo di pubblicità.
La Valutazione della Corte di Cassazione
La Corte ha evidenziato che una chat di WhatsApp, pur contenendo un numero significativo di partecipanti, non è assimilabile a una piattaforma di comunicazione pubblica, come Facebook o altri mezzi di comunicazione aperti a un pubblico indefinito.
Distinzione tra Chat Private e Social Network
La Corte ha ulteriormente sottolineato che la natura della chat di WhatsApp è quella di essere un mezzo di comunicazione “ristretto”; e intrinsecamente riservato ai membri che si sono reciprocamente accettati, al contrario di un social network, che si rivolge potenzialmente a una platea ampia e indefinita. In questo contesto, la Corte ha stabilito che l’utilizzo di una chat di messaggistica privata non soddisfa i requisiti necessari per l’integrazione dell’aggravante del mezzo di pubblicità, la quale presuppone una potenziale diffusione del contenuto lesivo verso un pubblico indeterminato.
Conclusioni della Corte
Pertanto, la Corte di Cassazione ha escluso l’aggravante del mezzo di pubblicità, portando all’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata e dichiarando il reato improcedibile per la mancanza della richiesta di procedimento. La sentenza sottolinea l’importanza della proporzionalità nell’applicazione del diritto penale, specialmente nel contesto dell’evoluzione tecnologica e delle modalità di comunicazione odierne.
Implicazioni della Sentenza
Questa pronuncia rappresenta un’importante precisazione riguardo ai limiti della responsabilità penale per diffamazione nell’;uso di strumenti di messaggistica digitale. La Corte chiarisce le differenze sostanziali tra mezzi di comunicazione privati, come le chat, e piattaforme sociali aperte, che hanno un potenziale di diffusione ben più vasto e indiscriminato. Tale distinzione fornisce una guida fondamentale per l’applicazione delle norme penali in contesti caratterizzati dall’uso di tecnologie digitali.