Il Tribunale di Venezia confermava la pronuncia di condanna di primo grado dell’imputata per il reato di diffamazione in danno dell’ex compagno per aver scritto e fatto consegnare al figlio del predetto, al tempo tredicenne, una lettera dai contenuti offensivi nei confronti del padre, prefigurandosi che il minore l’avrebbe fatta poi leggere ad altre persone.
Contro la sentenza del Tribunale di Venezia proponeva ricorso per cassazione l’imputata per mezzo del proprio legale.
La ricorrente deduceva la erronea applicazione dell’art. 595 cod.pen. in relazione alla configurabilità del delitto di diffamazione.
In particolare, si eccepiva che la comunicazione era diretta solo ed esclusivamente al minore, non restando dunque integrata sul piano oggettivo la comunicazione a più persone necessaria ai fini della configurabilità del delitto di diffamazione, senza che, peraltro, il destinatario della lettera potesse considerarsi, in quanto minorenne adolescente, di per sé tenuto alla propalazione del contenuto di tale missiva ad altri soggetti.
Pertanto, la condanna si sarebbe fondata sulla mera congettura errata che la lettera era stata spedita prevedendo che il minore l’avrebbe fatta sicuramente leggere ai genitori o ad altri soggetti.
Né per la configurabilità del delitto di cui all’art. 595 c.p., tra i due soggetti ai quali la comunicazione deve essere diretta può essere inclusa la stessa persona offesa, ossia il padre del destinatario che, come era emerso nell’istruttoria dibattimentale, era stato in concreto il solo ed unico al quale il figlio aveva mostrato la lettera della imputata.
Infine, si eccepiva la carenza dell’elemento soggettivo del reato di diffamazione.
Era infatti emerso nel corso del giudizio che l’intenzione della ricorrente non era quella di diffamare l’ex compagno, ma bensì di “demolirne” l’immagine agli occhi del figlio.
La Cassazione penale sez. V, con sentenza del 24/10/2023 n. 48489, accoglieva il ricorso per cassazione della imputata annullandola senza rinvio perché il fatto non costituiva reato.
La Corte sottolineava che corrisponde al vero che il reato di diffamazione può essere integrato anche qualora l’autore comunichi con una sola persona, ma solo nell’ipotesi in cui ciò avvenga con modalità tali che detta notizia sicuramente venga a conoscenza di altri ed egli si rappresenti e voglia tale evento, purché l’espressione offensiva sia contenuta in un documento che per sua natura sia destinato ad essere visionato da più persone (ad esempio, qualora le frasi offensive vengano inserite in un vaglia postale, che per necessità operative del servizio postale non resta riservato tra il mittente ed il destinatario, così Cass. Pen. Sez. 5, n. 522 del 26/05/2016).
Ne consegue dunque che il requisito della comunicazione con più persone idoneo ad integrare il delitto di diffamazione non sussiste nel caso di comunicazione confidenziale la cui diffusione sia esclusivamente opera del destinatario della confidenza, in quanto manca un’espressa volontà del soggetto attivo di destinare alla divulgazione il contenuto della comunicazione (si veda Cass. Pen. Sez. 5, n. 40137 del 24/04/2015).
In applicazione dei menzionati principi, la Cassazione ha ritenuto che, nella fattispecie concreta, a fronte dell’invio della lettera in busta chiusa al solo figlio della persona offesa la sola circostanza che quest’ultimo fosse minorenne all’epoca dei fatti non poteva in automatico far considerare la comunicazione indirizzata a più persone, anche in virtù del fatto che si trattava di un adolescente.
In pratica, l’eventualità che il minore rendesse noto l’invio e i contenuti della missiva ad altre persone era rimessa all’esclusiva e discrezionale iniziativa dello stesso.
di Daniele Concavo – Avvocato del Foro di Milano con particolare esperienza nel mondo del Fitness e nella tutela della reputazione aziendale e personale. L’Avv. Concavo è Cultore della materia di Diritto dell’informazione, Diritto europeo dell’informazione e Regole della comunicazione d’impresa con il Professore Ruben Razzante all’Università Cattolica di Milano.